MONSIEUR MAGAZINE, ITALY

2014

by Andrea Bertuzzi

MONSIEUR MAGAZINE, ITALY

Colta, raffinata, onirica. È l’haute couture secondo Cathleen Naundorf, che usa le Polaroid ed effetti stranianti per esaltare l’eleganza con l’imperfezione

Di andrea bertuzzi – foto di Cathleen Naundorf

La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha», ha detto una volta il fotografo statunitense Neil Leifer. Colta, raffinata, a tratti onirica. Questa è allora l’idea che Cathleen Naundorf deve avere della haute couture. Nelle Polaroid che utilizza per immortalare l’essenza dell’alta moda, si legge il fascino un po’ rétro di un mondo che non teme il confronto con l’alterità e che non lascia scalfire la sua bellezza da incursioni visive. Filtri, margini irregolari sbiaditi, sfumati, quasi bruciati, che come le pennellate di un pittore colorano, ora a tempera ora ad acquerello, la carta fotografica. Riuscendo a non far perdere regalità a un abito di Dior neppure in un’istantanea tra i fornelli della cucina di un ristorante. «Le Polaroid mi hanno da sempre attratta, sin da bambina, quando ho cominciato a dipingere», spiega la fotografa tedesca. «Trovo che abbiano molto in comune con la pittura: in particolare, le imperfezioni proprie di questi supporti rappresentano una delle meravigliose ragioni per cui ho deciso di utilizzarle. Imperfezioni palesemente in contrasto con il mondo in cui viviamo, che invece è “ritoccato alla perfezione”. Ma essere imperfetti è umano, quindi straordinario. Perché non esaltarlo?».

Sin dagli anni 80, Cathleen Naundorf si è applicata all’arte della pittura e della fotografia. Nel decennio successivo ha realizzato molti reportage in giro per il mondo, dalla Mongolia, alla Siberia, dall’Amazzonia al deserto del Gobi. Ed è in questo periodo che ha incontrato Horst P. Horst, uno dei più influenti fotografi di moda del XX secolo. «È stato il mio mentore, ha inciso sulla mia formazione, soprattutto per quanto riguarda la tecnica, intesa come organizzazione e preparazione degli shooting. Quando sei giovane, vai costantemente alla ricerca di qualcuno che ti indichi la strada, trasmettendoti i valori necessari per crescere e sviluppare un tuo stile, la tua personalità. Horst è stato tutto questo per me». Dal 2005 al 2011 Cathleen ha lavorato per importanti marchi come Chanel, Dior, Gaultier, Lacroix, Elie Saab, Valentino. E ha raccolto sei anni di fotografie nel libro Haute Couture – The Polaroids of Cathleen Naundorf.

Haute couture per me significa “Arts et métiers”, un connubio che lascia ampi margini di libertà e di creatività, ma che non si può certamente improvvisare», continua Cathleen Naundorf. «Per questo leggo tantissimo, non smetto mai di osservare, cercando di assorbire come una spugna tutto ciò che riguarda i “mestieri”. Lavorare a stretto contatto con gli stilisti è indispensabile perché favorisce un interessante scambio culturale e di reciproche visioni. Ma bisogna avere pazienza, soprattutto per venire a contatto, anche solo per un istante, con il significato più recondito di una collezione o di uno stile». Cathleen Naundorf si occupa in prima persona di scegliere le modelle, le location, curare ogni dettaglio con gli stilisti. «Strade, palazzi, parchi, sia nuovi sia vecchi, possono raccontare una storia attraversando i secoli. Di solito, penso a una sceneggiatura prima di procedere con lo shooting. Sotto certi aspetti, il mio approccio è simile a quello di un regista, che costruisce un mondo incantato nella propria mente e poi gli dà vita attraverso la pellicola». E le protagoniste di questo “film” come vengono selezionate? «Non vado alla ricerca di volti noti, ma di donne con un certo grado di sensibilità, di glamour e di carattere».

Il punto di vista femminile è stato sicuramente un vantaggio per interpretare con questa classe le creazioni degli stilisti: «Ho avuto la fortuna di vedere collezioni di una bellezza… abiti che vorrei indossare prima di tutto come donna e che solo in un secondo momento immagino per vestire le mie fotografie». Un’intensa relazione umana e professionale è scattata con Valentino. «Prima di fotografarlo con Natalia Vodianova nel 2012 alla Somerset House, mi chiese in prestito un tavolo luminoso perché voleva realizzare dei disegni. Un autista arrivò a ritirarlo percorrendo circa 120 chilometri. Così, ebbi il coraggio di chiedergli uno dei suoi fantastici abiti da fotografare per il mio libro. Fece arrivare per me 15 capi straordinari da Roma lasciandomi assolutamente libera di fotografarli seguendo il mio istinto. Così nacque il nostro primo progetto insieme. Da allora sono diventata “di famiglia”. Valentino non è solo una leggenda come stilista, lo è anche umanamente».

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